Torno da una splendida esperienza umana e di fede: la celebrazione della settimana santa e della Pasqua nella missione di Vondrozo, aperta cinque anni fa nel sud-est dell’Isola Rossa.

Il territorio è sconfinato, gran parte delle chiese sono raggiungibili solo a piedi, alcune a circa 80 km di distanza. Vi lavorano due confratelli sacerdoti (p. Bary e p. Germain) e due fratelli (Elisé e Albert). Solo il 5 % di questa gente ha sentito parlare di Gesù e del Vangelo, tutti gli altri sono ancora in attesa della Buona Novella. Incredibile ma vero: nel 2013 ci sono ancora tanti villaggi e persone che vivono nell’era “avanti Cristo”, in attesa che la luce della Verità li illumini. La nostra comunità redentorista è piccola, semplice ma molto fraterna. Durante tutta la giornata è un viavai di persone: gente proveniente dai villaggi lontani alle prese con problemi di salute, di scuola, con i bisogni più disparati che comporta la povertà.
Tutti si recano dai Mompera (i padri) per chiedere un aiuto, una soluzione, una parola… che puntualmente viene offerta.

Il dispensario della missione è ogni mattina la meta di tanti malati, alcuni giunti a piedi da diecine di km, alla ricerca di un medicinale che non possono comprare perché troppo caro. La missione è il cuore del villaggio, un cuore pulsante, l’icona di come “amore per Dio” e “amore per il prossimo” sono monchi l’uno senza l’altro. La missione è anche un miscuglio di situazioni che fanno risplendere la bellezza dell’essenzialità. Non c’è acqua corrente. L’energia elettrica è razionata per 5 ore al giorno. E poi strade accidentate, piogge torrenziali, una natura dal verde esplosivo, un cielo incredibilmente stellato. Sciami di bambini ad ogni angolo di strada. Un aquilone fabbricato a mano, un pallone di buste di plastica arrotolate o un cerchione di bicicletta da spingere con un legnetto: basta poco per divertirsi e sghignazzare spensieratamente. La gioia, quella vera, si compra con poco. Anzi, è una prerogativa della semplicità. Un cuore pieno di cose non potrà mai veramente gioire: è quello che mi dico guardando lo spettacolo di questi bambini, così poveri ma così incredibilmente ricchi …

Arrivato il sabato prima delle Palme, dopo due giorni di viaggio, mi trovo durante la celebrazione della Giornata diocesana dei Giovani. C’è il vescovo mons. Benjamin, una persona veramente in gamba. E ci sono circa 400 giovani, la gran parte arrivata a piedi, con una saccoccia sulle spalle, da 30 o 50 Km e anche più. Sono meravigliato nel vedere ragazzini di 8-10 anni venuti a piedi da così lontano. Tutto gronda di gioia, preghiera, semplicità. L’ultima serata è una grande veglia di preghiera fino al mattino. La messa di chiusura inizia alle 8.30 e non termina prima delle 13 in un tripudio di canti.
A questi giovani basta un piatto di riso e una stuoia su cui stendersi per esser felici. La gioia vera è una dimensione del cuore semplice, che gli avvenimenti esterni non fanno che accendere…

Per l’occasione sono arrivati anche tutti i catechisti del distretto missionario (quelli cioè che animano le comunità cristiane nei vari villaggi) per ricevere tre giorni di formazione sulla Bibbia. A dire il vero solo qualcuno di loro ne possiede una copia. Alcuni non sanno neanche leggere e scrivere. La mia sorpresa è grande nel sapere che alcuni di loro non sono nemmeno battezzati. Non perché non lo vogliano, ma perché non hanno mai avuto occasione o tempo per seguire la formazione. Ma importa poco. Hanno tutti una gran sete di conoscere Gesù e la fede. Partono convinti di aver ricevuto molto, ma chi ha ricevuto più di loro sono io.
La testimonianza dei loro sacrifici per guidare le comunità cristiane, in completata gratuità, mi hanno insegnato molto di più. Si rinnova in me la domanda: ma come può un sacerdote starsene tranquillo se c’è tanta gente assetata di fede e di Parola di Dio? Un altro momento significativo è stata la prima visita a un villaggio non-cristiano. Si tratta cioè del primo vero e proprio approccio di evangelizzazione.

È una giornata piovosa, ma per l’occasione si è riunita tutta la gente, soprattutto gli anziani, e c’è anche lo Mpanjaka (cioè il “re” del villaggio). In questo caso non sono stati loro, ma il parroco del distretto, p. Bary, ad aver proposto loro di impiantare una piccola comunità cristiana, primo passo dell’annuncio del vangelo. L’incontro è una trama di interventi tra la nostra delegazione, gli anziani e il re del villaggio, che appare entusiasta per l’arrivo della fede cristiana, sebbene non sappia nemmeno in cosa consista precisamente. Poi, in un lungo discorso, lo stesso Mpanjaka spiega che è loro desiderio iniziare una “vera preghiera”, per sottrarre il villaggio alle “forze della tenebra”(così letteralmente). Mi dico tra me e me che l’idea di s. Giustino sui semi del Verbo -quella fondamentale “sete del Dio vivente” presente nel cuore di ogni uomo – è qualcosa di estremamente vero. È un mistero come della gente ignara si apra improvvisamente al vangelo, con l’entusiasmo di chi vi anelava da tempo…

Ci sarebbero tanti altri momenti da raccontare: le celebrazioni, gli incontri, i battesimi, l’inaugurazione della prima chiesa (di Cristo Redentore) nel villaggio di Madiorano … Ma si rischia di sciuparli. Restano dei cari ricordi nel cuore che ravvivano la coscienza dell’attualità – anzi dell’urgenza – del mandato di Gesù, che è anche il carisma dei Redentoristi: mi ha mandato a portare il Lieto Annuncio ai poveri.
P. Lorenzo Gasparro cssr Uno dei 13 battesimi nella Messa di Pasqua Prima Messa nella chiesa Gesù Redentore
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