Tournée è un termine francese che significa girata, sarebbe il giro che il Missionario compie per visitare i numerosi villaggi lontani, per verificare e incrementare la vita cristiana dei fedeli, passati alla fede dall’animismo o dall’islamismo, che sono le religioni principali del Madagascar.
Per esempio la nostra stazione missionaria di Ampanefena, dove sono stato missionario, comprende un territorio di 400 km2 di estensione, ove vi sono più di cinquanta villaggi, ove vivono più di cinquemila cristiani.
I villaggi sono agglomerati di capanne di paglia e di legno adagiate nella brousse (foresta o boscaglia), sempre presso un fiume, dove la gente può prendere l’acqua per qualsiasi necessità, in quanto non sono esistenti impianti idrici.
In ogni villaggio è presente la figura dell’ispettore che è un catechista scelto, che conosce la condizione dei fedeli, e presenta al Padre Missionario i fedeli che hanno fatto richiesta di abbracciare la fede cattolica ricevendo i sacramenti del Battesimo, dell’Eucarestia e del Matrimonio: tutti hanno seguito la catechesi con lui e altri catechisti. È quasi sempre un uomo profondamente cristiano, intelligente, istruito e zelante.
Desidero raccontarvi alcuni aneddoti che personalmente ho vissuto e condiviso con un confratello redentorista, p. Luigi Pentangelo, il quale era ammirato dai sacerdoti malgasci definendolo il leone delle tournèes per il suo coraggio e zelo, instancabile nel visitare i fedeli dislocati nella brousse, mai si spaventava di fronte alle difficoltà.
Ricordo un episodio. Era la stagione dei cicloni. Un giorno la radio ne annunciava uno che avanzava alla velocità di 150 km/h e che sarebbe arrivato di lì a tre giorni, quindi ci sarebbe stato pioggia e vento forte; “prepariamoci“ gli dissi. E lui disinvolto rispose: “Il ciclone? Già domani mi aspettano i cristiani, come da programma. Starò con loro anche se c’è il ciclone. Io parto lo stesso”. Quando poi per una grave malattia allo stomaco si sentì venir meno, perplesso tornò a casa. I preti malgasci dissero: “Si è fermato un leone!”. Infatti fu obbligato dai medici di rientrare in Italia per curarsi: ma troppo tardi! Dal letto dell’ospedale
gridava ai medici: “Fate presto perché devo tornare in Madagascar, là mi aspettano!”.
Partendo per la tournée è bene che il missionario porti con sé, oltre tutto l’occorrente per le varie celebrazioni in quanto le cappelle ne sono prive, dei medicinali anti malaria e una zanzariera per proteggersi dalle punture degli insetti e da altre possibili infezioni.
Una volta il p. Pentangelo, avendo prolungato la sua tournée e non avendo portato con sé il chinino sufficiente, si ammalò di paludismo e tornò a casa con una forte febbre, tremava tutto. Messosi a letto, venne a visitarlo un confratello che risiedeva in una zona malarica; questi, vedutolo e sapendo che ci voleva del tempo per smaltire la sua alta febbre, gli disse: “Padre Luigi, dovete ingoiare sei compresse di chinino e domani vi alzerete”. Il malato aprì gli occhi e rispose: “E mi vuoi uccidere?”. Rispose: “Padre questa è la terapia per questa circostanza!”. Il mattino seguente il missionario si alzò sfebbrato, sebbene debole ancora.
In Madagascar i villaggi distano tra i 20 e i 50 km l’uno dall’altro. Il
p. Luigi era un buon camminatore, era definito dai malgasci “tongotra lava” cioè “passo lungo”.
Durante la mia permanenza in Madagascar le tournèes erano così organizzate. A distanza di alcuni decenni dal mio rientro in Italia, le cose non sono poi tante cambiate, mi raccontano i confratelli malgasci che oggi continuano l’annuncio missionario seguendo le orme di sant’Alfonso.
Il catechista di zona percorreva una decina o più chilometri a piedi per raggiungere la Missione dove risiedevamo. Era lui a fare da guida per i lunghi sentieri conoscendo il territorio impervio da attraversare, generalmente trasportava a spalla anche il mio bagaglio per profondo rispetto nei miei riguardi.
Molte volte si trattava di strade formate da letti di torrenti asciutti nel periodo da aprile a novembre. Camminavamo per venti o più chilometri al giorno nel silenzio della brousse; attendavamo la traversata del primo fiume per bere, anche se a poca distanza da noi c’era un branco di buoi che si era dissetato. A volte dovevamo fare attenzione ai coccodrilli nascosti, allora in quelle circostanze il catechista mi avvertiva di stare vicini ed eventualmente sbattere dei bastoni per spaventare quelle bestie ed evitare che ci assalivano nella traversata del fiume.
E per il pranzo? La Provvidenza non è venuta mai meno: attraversando la foresta i frutti esotici sono abbondanti in Madagascar, oppure bussavamo alla capanna di qualcuno, secondo la cultura malgascia dove l’accoglienza è sacra, un pugno di riso l’avremmo certamente ottenuto. E così era.
Una volta, verso le due del pomeriggio, in piena foresta, scorgemmo una porta aperta; avevamo fame. Una voce dall’interno rispose senza esitare: “Avanti, entrate!”. Vedemmo un vecchietto seduto vicino alla tavola che consumava il suo pranzo frugale. Vedendoci ci invitò: “sedetevi, sedetevi e favorite con me”, e ci offrì due sedie, due vassoi e anche due cucchiai. Ci meravigliammo; poi prese da una pentola il suo pranzo condividendolo con noi: erano chicchi di granturco, cotti nell’acqua di noci di cocco che crescevano nella foresta. Fu un pranzo gustosissimo che mai più ebbi modo di assaporare.
Non si può dimenticare di dire che presso i malgasci, la religione animista prescrive l’accoglienza dell’ospite come una persona inviata dai Razana, cioè dagli Antenati che dal cielo sorvegliano la famiglia. Cosicché bisogna lasciare libero un posto a tavola per l’ospite che l’antenato invia, per evitare la loro maledizione. I Razana sono venerati come divinità.
Giunto al villaggio stabilito, i fedeli venivano con gioia ad ossequiarci, scambiando qualche parola sul programma che in qualche modo avevamo fatto pervenire precedentemente. Grande festa per i battezzanti, sia bambini che adulti.
Era una domenica; dissi alla padrona di casa che andavo al vicino fiume per radermi la barba. Arrivai lì, mi scalzai ed entrai nell’acqua tiepida. Il livello dell’acqua mi copriva solo i piedi: ero sicuro di me; coi pantaloni rimboccati fino alle ginocchia, iniziai a radermi tenendo lo specchietto con la mano sinistra ed il rasoio con la destra. Avvertii che, dopo un po’, il calore dell’acqua era arrivato alle ginocchia. Qualche onda anomala? No, l’acqua era la stessa, ero io che affondavo nelle sabbie mobili. Feci in tempo ad aggrapparmi ad un cespuglio e pian piano mi diressi verso la riva. Mi lavai ed arrivai in tempo per la celebrazione della Messa delle otto. Potevo essere inghiottito vivo: ero solo, ma Dio vegliava su di me dal cielo.
Squilla la campana che chiama i cristiani alla celebrazione della funzione religiosa. La campana? Era un cerchione di ferro di una ruota d’automobile; il catechista lo batte con un ferro e ne esce un suono acuto; la capanna di legno, coperta di lamiere, certamente non paragonabile artisticamente alle nostre basiliche, era pronta ad accogliere quella gente che aveva sete di Dio.
Voglia Gesù Redentore, per la sua morte e resurrezione, infondere la fede nell’umanità.
P. Giovanni Di Maio C.SS.R.
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