Era il gennaio del 1989 quando arrivai nella Grande Isola. All’aeroporto mi ricevette il p. Gianbattista Battaglia. Prendemmo alloggio al Segretariato, dove vengono ospitati i preti di passaggio. A lui spiegai il perché della mia presenza e il desiderio della Provincia Napoletana Redentorista di costruire una casa nella capitale Antananarivo (= i mille villaggi) per la formazione e la frequenza agli studi teologici dei giovani che vogliono farparte della nostra Congregazione. Gli inizi non sono mai facili.
Io stesso ero a digiuno della vita, della storia e della lingua del Madagascar. Gli ultimi 8 anni li avevo trascorsi nella nostra Missione in Argentina con gli Indios Huarpes, altra lingua, altra storia e altra vita. Il Madagascar lo avevo sentito solo nominare. Così avevo dato la mia disponibilità alla Missione malgascia.
Il p. Battaglia mi affidò ai buoni PP. Cappuccini e nel frattempo iniziammo le nostre indagini per un terreno adatto alla costruzione della casa-seminario. Ci serviva un terreno non lontano dal Gran Seminario di Ambatoroka, da raggiungere anche a piedi; un terreno vasto da permettere non solo la costruzione della casa, ma anche la possibilità dello sport per i giovani.
Finalmente il p. Irenè, anche lui cappuccino ci indicò un terreno nel rione di Mandroseza, poco più di 1.000 mq, a circa 1 km dal Gran Seminario, un po’ in pendenza: scorrendo sopra la strada il rumore arrivava molto attutito.
Decidemmo per questo terreno e informammo il nostro P. Provinciale, il p. Antonio Napoletano che accettò la nostra scelta. Si stipulò il contratto di compera/vendita a nome dell’EKAR (Chiesa Cattolica Apostolica Romana, unico ente religioso riconosciuto dallo stato malgascio) e, naturalmente, altro contratto tra EKAR e Provincia RedentoristaNapoletana.
Nel frattempo io ero ospite nel seminario dei PP. Cappuccini. Ogni giorno assieme ai loro giovani andavamo nella capitale, loro a studiare teologia al Gran Seminario, io a studiare la lingua malgascia. Altri due giovani sacerdoti italiani erano iscritti a questa scuola. Era un gran sollievo poter parlare liberamente con loro e sono stati i miei grandi amici.


A mezzogiorno ritornava il pulmino a prendermi assieme ai seminaristi cappuccini e rientravamo nel convento a 15 km da Tananarive.
In convento avevo molto tempo a disposizione. Un po’ di studio e poi progettare la nuova casa. Nel terreno che avevamo comprato c’era già una casa ampia, ma certo non poteva essere un seminario. Passavo il tempo fantasticando su come adattarla, come trasformarla, come renderla un po’ più grande… così, su semplici fogli di quaderno a quadretti, con l’aiuto di una matita con gomma e una righetta, disegnavo, cancellavo eallungavo.
Ricordo che preparai cinque progetti, ma non avevo mai studiato da geometra o quant’altro, ma riuscii a mettere nero su bianco. Il quintoprogetto era (ai miei occhi) enorme: una casa grande di tre piani, lunga26 metri e larga 11; le camere erano 19, e poi cappella, sala da pranzo,cucina, biblioteca e due salette per ricevere visite, poi un campo da tennis o basket e un appezzamento di terreno da coltivare.
Nel mese di luglio quando arrivarono a Tananarive il p. VincenzoMartone (da vari anni nella missione ed edotto nella lingua e nelle cose del Madagascar) e il p. Antonino Pascale, proveniente direttamente dall’Italia,ci presentammo al cardinale Victor Razafimahatratra per metterci a sua disposizione, chiedendo di poter lavorare nella sua diocesi. IlCardinale fu felice di accoglierci e ci disse: “Vi do le parrocchie di Mandroseza e Alasora”.
Il p. Martone: “Eminenza, forse è troppo impegnativo per noi. I due padri che sono con me ancora non parlano malgascio!”. La sua risposta fu lapidaria e non lasciava spazio ad altre trattative: “Prendere le due parrocchie o lasciare!”. Risposta breve e forte, ma certamente risposta quanto mai opportuna e impegnativa, realizzatrice di grande impegno e futuro per noi Redentoristi che avevamo eletto il Madagascar quale nostra missio ad gentes.
Il 20 luglio 1990 cominciarono i lavori della casa seminario. Il costruttore capo era un francese radicalizzato in Madagascar. Sapeva il fatto suo e desiderava che io frequentassi spesso il cantiere. Ma a metàdell’opera una brutta notizia: il capo costruttore fu colpito da una terribile malattia e non poté continuare l’opera intrapresa. Ne demmo notizia a Napoli al P. Provinciale, il quale volle che sia io a continuare con i lavori.
La cosa non era facile: ero a digiuno di costruzioni, di ferro, di quantità di cemento; e poi con operai alla buona che spesso si imboscavano. Ma il Signore aiuta chi opera per Lui: avevo un capo- cantiere protestante, veramente capace e amava il suo lavoro; avevo un ferraiolo della parrocchia di Alasora che con le barre di ferro era
capace di qualunque cosa, sempre in silenzio, tanto che dopo 15 anni di lavori poche volte abbiamo parlato: bastavano le misure
dei ferri e tutto era pronto; avevo due carpentieri agili come i gatti che si arrampicavano su pali e tavole che mi lasciavano sbalordito e trepidante.
Pian piano il rapporto con gli operai migliorava tanto da arrivare a intenderci perfettamente: la paga settimanale, il cibo sul cantiere, medicine se ammalati anche per i familiari, biancheria per i figli, un’aggiunta di salario se compivamo i vari lavori come stabilito, liberi tutte le feste comandate… insomma si lavorava spediti. Così che il 1°agosto 1992, giorno di sant’Alfonso, nostro Padre Fondatore, si inaugurò la nuova casa-seminario. Erano venuti da Napoli il nuovo padre provinciale Di Masi Antonio, il p. Dell’Aglio Alfonso, il nostro grande amico e collaboratore Gaetano Cicatiello e numerosi delle parrocchie di Mandroseza e Alasora.
La Scuola di Alasora
Il villaggio di Alasora aveva la sua scuola elementare con circa centoventi bambini divisi in sette anni, secondo il piano scolastico francese. La scuola era di fango, ricoperta da un leggero strato di cemento.In varie parti pioveva dal tetto, il pavimento di terra battuta, fessure poco rassicuranti nelle pareti… per non parlare dei servizi igienici.
Un giorno andai a fare visita a questi bambini ed entrai in una quarta elementare. Al mio saluto tutti risposero prontamente, poi alla signora insegnante rivolsi delle domande per capire la vita della scuola e delle famiglie dei bimbi.
Mi accorsi però che quasi tutti i bimbi erano con il capo poggiato sulbanco come se dormissero. Erano appena le 10,30 del mattino. Domandaiall’insegnante: “Ma a quest’ora riposano i bambini?”. La risposta fu evasiva; domandai una seconda e terza volta e l’insegnante mi rispose: “Padre, chissà se questi bambini hanno mangiato ieri sera!”. La risposta mi gelò. Salutai tutti e ritornai a casa. Avevo provato confusione e vergogna mista a pentimento per il mio insistere.


Raccontai la storia ai miei due confratelli e con il p. Vincenzo Martone decidemmo di chiedere aiuto al Nunzio Apostolico. Raccontammo l’episodio e disse: “Ecco un milione di lire, fate quello che potete”. Con quel denaro comprammo piccole ciotole di plastica e dei sacchi di riso e cominciammo a dare il cibo ai bambini. Un episodio che cambiò la storiadella scuola di Alasora.
Dopo alcuni mesi rientravo dall’Italia in Madagascar, via Nairobi-Kenia, ma un problema tecnico all’aereo mi bloccò lì per una intera settimana. Trovai ospitalità presso le buone Suore della Consolata. Qualche giorno dopo arrivò una comitiva di ospiti tutti italiani. Erano guidati da unsacerdote, don Danilo Burelli, mi chiese cosa ci facessi lì a Nairobi e spiegai il mio problema. E lui mi chiese: “E’ vero che è bello il Madagascar?” “Certo, è tanto bello quanto povero!”. Mi dice anche il motivo del loro passaggio per Nairobi: “Domani rientriamo in Svizzera. Siamo tutti italiani e ogni anno andiamo in una nazione diversa per costruire una scuola”. E come una folgorazione gli chiesi: “E da me quando venite? Ne abbiamo veramente bisogno di una scuola”. “Vedremo…” fu la risposta.
Da quel momento nacque tra noi un’amicizia vera e fraterna. Il giorno seguente al momento della loro partenza mi chiamò da parte “Stai certo che non ci dimenticheremo di te”. E stringendomi calorosamente la mano mi lasciò un rotolo di dollari, ben 460 dollari. Poi: “Ci sentiremo presto!”.
Dopo alcuni mesi il mio Provinciale mi comunicò di aver ricevuto una consistente somma da un sacerdote di Zurigo per l’edificazione di una scuola, aggiungendo queste parole: “Che sia grande però”. Dalle Cronache della nostra casa di Mandroseza: “Il 14 gennaio 1994 si svolge sotto una pioggerella fina fina la cerimonia della posa della prima pietradell’edificio scolastico di Alasora. Fanno da corona gli ospiti d’onore: don Danilo Burelli e la sigra. Marinella Casale, segretaria della Onlus Amici Terzo Mondo; il Comitato scolastico; tutti gli insegnanti e scolari; rappresentanti delle varie scuole statali e private; i genitori dei bambini e la folla dei curiosi. Dopo i vari discorsi d’occasione don Danilo benedicel’urna di marmo contenente la pergamena ricordo…”.
Il giorno 7 agosto ad Alasora si celebrò solennemente la festa del nostro Padre sant’Alfonso con una concelebrazione presieduta dal padre provinciale Antonio Di Masi e noi tutti sacerdoti. Subito dopo ci portammo processionalmente nello spiazzale davanti all’edificio scolastico nuovo dove don Danilo benedisse la nuova opera, accompagnato dal padrino il sig. Luciano Uboldi, Console italiano di Nosy Bè e la madrina sig.ra Marinella Casale, che insieme effettuarono il taglio del nastro inaugurale.
Seguirono i discorsi di circostanza. Il tutto fu coronato dal pranzo offerto dal comitato scolastico nel salone della nuova scuola”. Eravamopartiti con circa 120 bambini nella scuola, oggi ne contiene più di mille!Sul frontespizio della scuola spicca la scritta incisa sulla dura pietra: Pfaffikon 1994 Napoli.
Fino alla mia permanenza, abbiamo realizzato e ristrutturato altri edifici come dispensari, scuole, case religiose e chiese. Tutto questo per soddisfare le esigenze d’evangelizzazione e di promozione sociale del popolo malgascio.
p. Francesco La Ruffa


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